Forse si scrive, prima di tutto, per necessità.
Per non dimenticare chi si è, per non scordarsi di sé stessi.
Per ritrovare, dopo una giornata passata a indossare maschere, la propria essenza ancora dentro di sé.
Si scrive con l'acqua alla gola, in cerca del sollievo che segue il ritrovo del proprio spirito, nel constatare che è ancora lì.
Si scrive per conservare quel piccolissimo spazio della nostra intimità; per alimentare e non far spegnere la fiamma della nostra dignità.
Si scrive per elevare sé stessi dalla superficie, si scrive per purificarsi, si scrive per redimersi, per riscoprirsi sani e salvi.
Si scrive, soli e in silenzio, per dire qualcosa di importante col rispetto, la solennità e il pudore dell'unico luogo dove è possibile farlo: quel foglio bianco, quell'inchiostro.
Si scrive perché si è consapevoli della propria posizione, della propria situazione: si scrive per non dimenticarla.
Si scrive perché la carta è l'unica compagna a cui ci apriamo davvero; si scrive perché con lei scompare l'imbarazzo che sempre riscontriamo tra i nostri simili.
Si scrive perché equivale ad entrare in un tempio: per raccoglimento interiore.
Si scrive per combattere la stupidità con cui facciamo i conti tutti i giorni, la mediocrità quotidiana che vuole legare le nostre ali, la morta ironia e la vuota simpatia dell'esercito di replicanti sedicenti brillanti.
Si scrive per accendere un fuoco nel deserto notturno.
Si scrive per restare vivi.
Si scrive per restare liberi.